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La responsabilità amministrativa dell’esercente le professioni sanitarie. Cosa cambia con la Legge n. 24/2017 in caso di danno erariale?

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La responsabilità amministrativa dell’esercente le professioni sanitarie. Cosa cambia con la Legge n. 24/2017 in caso di danno erariale?

L’articolo 9 della legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché’ in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie) disciplina “l’azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria”.

Tale disposizione normativa prevede che l’azione di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria possa essere esercitata solo nelle ipotesi di dolo o colpa grave.

Secondo la costante giurisprudenza contabile la colpa grave è ravvisata nelle ipotesi “di grave negligenza professionale inescusabile da valutarsi al tempo della condotta, lungi da contaminazioni del giudizio fondate su valutazioni ex post determinate dall’insorgere di sopravvenienze nella fase esecutiva delle scelte originarie” (Corte dei Conti, Abruzzo, sentenza n. 83/2017).

La norma in commento differenzia le posizioni dell’esercente la professione sanitaria nelle ipotesi in cui quest’ultimo sia stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno e in tal caso è previsto che l’azione di rivalsa nei suoi confronti possa essere esercitata soltanto a seguito della liquidazione del danno in sede giudiziale o stragiudiziale e che debba essere esercitata, a pena di decadenza, entro un anno dal pagamento.

Nell’ipotesi in cui l’esercente la professione sanitaria non sia stato parte del giudizio volto all’accertamento del diritto al risarcimento del danno, invece, la decisione pronunciata nel giudizio dove non sia stato convenuto il sanitario non fa stato nel successivo giudizio di rivalsa.

La norma prevede, poi, nell’ipotesi in cui la struttura sanitaria o la compagnia assicurativa definiscano la controversia con un atto di transazione che quest’ultima sia opponibile all’esercente la professione sanitaria nel giudizio di rivalsa.

Il comma 5 dell’articolo 9 disciplina l’azione di responsabilità amministrativa dell’esercente la professione sanitaria.

In merito si osserva che il legislatore in modo ridondante sottolinea che la responsabilità amministrativa dell’esercente la professione sanitaria possa essere ascritta solamente per le condotte cagionate a titolo di dolo o di colpa grave, tralasciando che tutte le ipotesi di responsabilità amministrativa sono punibili esclusivamente a tale titolo da diversi anni.

Anche con riguardo alla quantificazione del danno alla finanza pubblica, il legislatore evidenzia che il principio generale che regola i giudizi di responsabilità davanti alla Corte dei Conti – secondo cui in caso di condanna deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti – si applica anche ai giudizi di responsabilità amministrativa riguardanti l’esercente la professione sanitaria, prevedendo una ulteriore ipotesi di riduzione della quantificazione del danno nel caso in cui si presentino “situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato”.

La norma disciplina poi che nell’ipotesi di condanna per la responsabilità amministrativa e di surrogazione di cui all’articolo 1916, primo comma, del codice civile, l’importo della condanna per il singolo evento, in caso di colpa grave, “non può superare una somma pari al valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo”.

In ipotesi di condanna l’esercente la professione sanitaria, per un periodo di tre anni, nell’ambito delle strutture sanitarie o sociosanitarie pubbliche, non può essere preposto ad incarichi professionali superiori rispetto a quelli ricoperti e il giudicato costituisce oggetto di specifica valutazione da parte dei commissari nei pubblici concorsi per incarichi superiori.

Dunque, salvo le ipotesi di condotte poste in essere con dolo, per l’esercente la professione sanitaria, a differenza del pubblico dipendente o di colui che è ha una relazione di servizio con l’amministrazione, è riconosciuto dalla legge un limite in relazione al quantum della condanna al risarcimento del danno in sede di giudizio di responsabilità.

Tale limite è inoltre previsto, secondo la ratio della riforma della responsabilità del sanitario, anche con riguardo alla misura della rivalsa e nell’ipotesi di surrogazione richiesta dall’impresa di assicurazione: in caso di colpa grave, per il singolo evento, la somma richiesta all’esercente le professioni sanitarie non potrà superare una somma pari al valore maggiore del reddito professionale, ivi compresa la retribuzione lorda, conseguito nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo.

La norma prevede poi che il limite alla misura della rivalsa non si applica nei confronti degli esercenti la professione sanitaria che svolgono la propria attività al di fuori di una delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private o che prestino la propria opera all’interno della stessa in regime libero-professionale ovvero che si avvalgano della stessa nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente.

Le modifiche approvate in Commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati di modifica alla legge 8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché’ in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie) nella seduta del 20 settembre 2017 sono le seguenti: “Dopo l’articolo 8, aggiungere il seguente:
ART. 8-bis. (Modificazioni alla legge 8 marzo 2017, n. 24).
1. All’articolo 9, comma 5, terzo periodo, della legge 8 marzo 2017, n. 24, le parole: « pari al valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguito nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo » sono sostituite dalle seguenti: « pari al triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguito nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo. ».
2. All’articolo 9, comma 6, primo periodo, della legge 8 marzo 2017, n. 24, le parole: « pari al valore maggiore del reddito professionale, ivi compresa la retribuzione lorda, conseguito nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo, moltiplicato per il triplo » sono sostituite dalle seguenti: « pari al triplo del valore maggiore del reddito professionale, ivi compresa la retribuzione lorda, conseguito nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno, immediata- mente precedente o successivo. ».
3. All’articolo 14 della legge 8 marzo 2017, n. 24, dopo il comma 7, sono aggiunti i seguenti:
« 7-bis. Il Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità̀ sanitaria di cui al comma 1 assolve anche alla funzione di agevolare l’accesso alla copertura assicurativa da parte degli esercenti le professioni sanitarie che svolgono la propria attività̀ in regime libero-professionale, ai sensi dell’articolo 10, comma 6.
7-ter. All’articolo 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, i commi 2 e 4 sono abrogati».

Le modifiche approvate dalla Commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati riguardano quindi la esatta individuazione del limite legale in caso di condanna, posto a favore dell’esercente la professione sanitaria nell’ipotesi in cui le condotte siano dallo stesso poste in essere con colpa grave.

Il concetto di colpa grave nella giurisprudenza contabile consolidata in ipotesi di danno erariale cagionato dal sanitario, in particolare nell’ipotesi di violazione delle buone pratiche mediche e delle linee guida deve essere dimostrata da parte della procura contrabile poiché: “la sola condotta difforme alle linee guida che la pubblica accusa indica come violate o non rispettate appieno, non è sufficiente per sostenere che vi sia nesso causale tra il loro mancato rispetto e l’evento dannoso. Tale dimostrazione, invece, deve essere calata nel caso concreto di cui si discute, ove la semplice difformità tra linee guida allegate in atto di citazione e la condotta tenuta dal medico o dai suoi collaboratori non basta a ritenere sussistente un valido nesso causale ma può, al più, ritenersi un indice rivelatore che va corroborato con altre risultanze di fatto da verificarsi nell’evento storico che ha determinato la fattispecie dannosa” (Corte Conti Emilia Romagna, Sentenza n. 145/2017 del 21/06/2017).

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