Quando un “post” sulla bacheca digitale del lavoratore può portare al licenziamento?
Nell’era dei Social Network l’uso imprudente dei sistemi di messaggistica digitale, da parte di un lavoratore, può portare fino al licenziamento. È un terreno complesso e risulta in alcuni casi difficoltoso individuare un confine netto tra diritto di critica e superamento dei limiti del decoro e del lecito.
I Social Network permettono agli utenti di pubblicare le proprie opinioni, dare sfogo ai propri pensieri, ma anche di accedere alle informazioni altrui; è opportuno, però, precisare come quest’ultimo aspetto dipenda, come si vedrà a seguire, sia dal Social utilizzato sia dalle impostazioni di privacy inserite. Pertanto è necessario evidenziare come non sia possibile considerare la bacheca digitale alla stregua di un diario privato.
La stessa Giurisprudenza sul tema ha un approccio variabile: se da un lato risultano numerose le sentenze che riconoscono come giusta causa di licenziamento la pubblicazione, sulla bacheca digitale del lavoratore, di un messaggio contenente affermazioni di volgare offensività nei confronti del datore di lavoro e lesive del nome dell’azienda (Cassazione civile Sezione lavoro, 27/04/2018, n. 10280), dall’altra non mancano pronunce che lasciano prevalere diritti costituzionalmente garantiti quali la libertà e la segretezza in ogni forma di comunicazione ai sensi dell’art. 15 della Cost. (Tribunale di Modena, Sez. lavoro, Sent. 07/10/2019).
Determinante nella scelta dei giudici è la platea che riceve il messaggio offensivo o presunto tale.
La Suprema Corte esclude la configurabilità di una condotta diffamatoria in una chat riservata, ove l’accesso è consentito solo a membri determinati; difatti le conversazioni che avvengo tramite mailing list riservate o chat private devono essere considerate alla stregua della corrispondenza privata, chiusa e inviolabile (Ordinanza 10.09.2018 n.21965). Al contrario la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca (facebook, twitter etc.) integra, per la potenziale capacità di raggiungere un vasto numero di utenti, un’ipotesi di diffamazione perché comportamento idoneo ad incrinare irreparabilmente il vincolo fiduciario coessenziale al rapporto lavorativo e deducibile a giusta causa di licenziamento.
Molte aziende stanno adottando codici di comportamento idonei a disciplinare l’utilizzo in modo corretto, da parte dei dipendenti, non solo degli strumenti di lavoro ma anche dei Social Network. Tali codici disciplinano la creazione e la gestione del profilo ed introducono regole di comportamento legate alla diffusione attraverso i Social di valutazioni e dichiarazioni attinenti al posto di lavoro o dati acquisiti durante l’attività lavorativa.
L’apertura delle realtà aziendali al mondo dei Social Network, anche per fini imprenditoriali e comunicativi, determina inevitabilmente il sorgere di una serie di problematiche legate alla gestione del rapporto di lavoro e alla ricerca dell’equilibrio tra la tutela della sfera individuale e l’interesse aziendale al rispetto del dovere di diligenza.
Da questa breve analisi emerge come i comportamenti privati, confinati nella sfera extra lavorativa, possano oggi avere rilevanza quali fattori di valutazione degli obblighi scaturenti dal rapporto di lavoro determinando precise conseguenze, tra le quali anche il licenziamento.
Articolo di Avv. Marco Masi, Dott.ssa Veronica Pompei.
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