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Accordi prematrimoniali: il cauto riconoscimento della giurisprudenza e riflessioni prospettiche

Accordi prematrimoniali: il cauto riconoscimento della giurisprudenza e riflessioni prospettiche

Una recente pronuncia della Corte di cassazione (recante n. 20415 del 21/07/2025) segna un’importante tappa nell’evoluzione giurisprudenziale sviluppatasi attorno alla riflessione sulla legittimità degli accordi prematrimoniali, evoluzione che brevemente si passa in rassegna.

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I patti prematrimoniali prima

Per decenni la posizione della giurisprudenza del nostro Paese (contrariamente da quanto accade da sempre in tanti altri, segnatamente quelli di cultura anglosassone, ove i suddetti patti svolgono una proficua funzione di deflazione delle controversie familiari e divorzili) è stata nel senso di escludere perentoriamente la validità degli accordi prematrimoniali nonché degli accordi stipulati in sede di separazione consensuale e in vista del futuro divorzio, in quanto nulli per illiceità della causa perché stipulati in spregio al principio di radicale indisponibilità dei diritti e doveri coniugali di cui all’art. 160 c.c. (ove si precisa che i coniugi non possono derogare ai doveri e diritti previsti dalla legge per effetto del matrimonio).
Tale orientamento non è certamente andato esente da aspre critiche in ragione del fatto che ciò trascurerebbe di considerare adeguatamente non solo i principi del diritto di famiglia, ma la stessa evoluzione del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere ai coniugi spazi di autonomia sempre più ampi nel determinare i propri rapporti economici.

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I patti prematrimoniali durante

Sicché isolati precedenti giurisprudenziali avevano già lasciato intravedere un -seppur timido- cambio di rotta.
Tra questi, merita di essere valorizzata la pronuncia n. 23713 della Corte di cassazione del 21/12/2012. In tale occasione gli Ermellini salvarono l’accordo patrimoniale stipulato dai coniugi in relazione ad un eventuale fallimento dell’unione matrimoniale, in quanto libera espressione della loro autonomia negoziale ed estraneo alla categoria degli accordi prematrimoniali. Ciò in ragione del fatto che la crisi del matrimonio non rappresentava la causa genetica dell’accordo, ma un mero evento dedotto in una lecita condizione sospensiva, al verificarsi della quale l’accordo avrebbe avuto effetto. Più precisamente, tale accordo – con cui uno dei futuri coniugi si obbligava a trasferire all’altro, in caso di naufragio del matrimonio, la proprietà di un immobile a titolo di corrispettivo per le spese affrontate per la ristrutturazione di altro locale da adibire a casa familiare – non è stato inquadrato nella categoria degli accordi prematrimoniali; di converso è stato qualificato come una sorta di datio in solutum, un contratto atipico espressione dell’autonomia negoziale dei coniugi e diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela (cfr. Cassazione civile sez. I, 21/12/2012, n. 23713).
Un passo ulteriore verso il lento sgretolamento dell’ostilità giurisprudenziale sopra descritta si è avuto con la sentenza n. 5353 del 21/02/2023 che, calpestando il sentiero già tracciato con la pronuncia n. 18066 del 20/08/2014, ha ritenuto valide le side letters – vale a dire gli accordi a latere del procedimento di separazione consensuale – concluse tra i coniugi in sede di separazione consensuale e di divorzio congiunto non solo in relazione agli aspetti patrimoniali, ma anche a quelli personali, purché non incidenti sui diritti indisponibili (cfr. Cassazione civile sez. III, 21/02/2023, n. 5353).
In tal senso ebbe a pronunciarsi nuovamente la Corte di legittimità con la sentenza n. 13366 del 15/05/2024 con la quale ha ritenuto erronea la conclusione cui era giunto il Giudice di merito in favore dell’esclusione della vincolatività dell’accordo raggiunto tra i coniugi prima della separazione e volto alla suddivisione pro-quota diseguale delle spese familiari. Sul punto gli Ermellini si dichiaravano a favore della possibilità per i coniugi di addivenire ad un accodo contrattuale con il quale il principio secondo cui ciascun coniuge è tenuto a contribuire ai bisogni della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze meglio fosse modulato secondo le singole capacità di ciascun coniuge, e comunque nel rispetto dei doveri solidaristici derivanti dal matrimonio (cfr. Cassazione civile sez. I, 15/05/2024, n. 13366).

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I patti prematrimoniali oggi

Si giunge, così, all’eloquente arresto giurisprudenziale avutosi con la recente pronuncia n. 20415 del 21/07/2025 della corte di legittimità, il quale ha definitivamente minato al consolidato ripudio per la regolamentazione preventiva della crisi coniugale, predicato per decenni, ed estendendo il riconoscimento (anche) a monte dell’autonomia contrattuale dei coniugi, vale a dire prima del verificarsi della crisi coniugale.
Nel caso di specie si discuteva della validità dei patti intervenuti tra i coniugi, in previsione del fallimento del matrimonio, volti a stabilire una regolamentazione dei rapporti personali e patrimoniali al sopravvenire della crisi coniugale.
Nel caso deciso, l’accordo – del quale una parte chiedeva accertarsi la nullità per contrarietà all’ordine pubblico e a norme imperative – prevedeva il riconoscimento in favore della moglie di una somma di denaro quale contropartita del contributo economico dato dalla stessa nella ristrutturazione della casa familiare.
In tal senso si è inteso valorizzare, ai fini della validità dell’accordo, la causa concreta dello stesso: l’obbligazione restitutoria prevista in capo al marito trovava la propria ragion d’essere nella finalità di realizzare un riequilibrio patrimoniale tra i coniugi, tra loro liberamente concordato, in alcun modo incidente sul diritto/dovere di assistenza morale e materiale sorto per effetto del matrimonio. Quest’ultimo, si badi bene, non è stato considerato la causa genetica del patto, ma soltanto il fattore condizionale esterno, come già osservato nelle righe che precedono.
Tale disamina, tuttavia, merita un’importante precisazione: la liceità e vincolatività dell’accordo economico raggiunto in bonis tra i coniugi e destinato ad operare in caso di irrimediabile crisi familiare non è da intendersi in senso assoluto. Per vero, sebbene non sia più ipotizzabile una generalizzata impossibilità di stipulare patti in previsione della crisi coniugale, rimane comunque fermo l’insormontabile limite dei diritti-doveri fondamentali derivanti dal matrimonio, che non possono formare in alcun modo oggetto di negoziazione tra i coniugi.
Il che vale a significare che i patti stipulati con la logica di riequilibrare la posizione delle parti trovano il proprio spazio di elezione all’interno dell’ordinamento; di converso, rimane fermo il divieto di accordarsi sulle questioni relative ai figli, alla spettanza e quantificazione dell’assegno di mantenimento e divorzile, nonché in ordine a qualsivoglia pattuizione possa porsi in contrasto con le norme imperative che disciplinano il rapporto coniugale.
Il tutto si può così riassumere: nessuna deroga ai diritti e doveri inderogabili.

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… E domani?

“Di doman non v’è certezza”, come recita il Trionfo di Bacco e Arianna di Lorenzo de’ Medici. Dal canto nostro auspichiamo un intervento normativo al più presto, che fughi ogni incertezza su un tema che rimbomba sempre di più nelle aule dei Tribunali italiani.

 

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